sabato 2 settembre 2017

Verso l'Adige. Prefazione di un viaggio

di Giulia Cocchella



A Bolzano fa un freddo tale che sembra inverno. E piove. Arrivo in ostello fradicia, nonostante sia vicinissimo alla stazione. Mi cambio, faccio un giro per il centro e cerco un posto dove cenare.
Le case qui hanno i tetti spioventi e le finestre belle, non come quelle che si trovano in Germania o nel Nord della Francia, così fiabesche che d'istinto cerchi nel prato attorno il bordo della pagina, o il filo della rilegatura tra l'erba, non così tanto casetta-nel-bosco, ma quanto basta per guardarsi intorno e sorridere.






Compro un brezel e lo mangio tenendolo con una mano, mentre con l'altra reggo l'ombrello. Intorno a me tutti parlano tedesco.
La parola brezel significa ricompensa: questi panini con le braccia conserte erano dati in premio ai bambini diligenti che imparavano a memoria i versi della Bibbia. Erano insieme un premio e un amuleto di buona fortuna, quella fortuna semplice e necessaria che si mastica e si inghiotte.



Sono partita portandomi dietro un bel carico di solitudine, perciò questa volta il viaggio in solitaria parte con fatica, contro voglia. So che scivolerà via, ma quando sarà il momento, non un attimo prima. 
Alla libreria Ubik trovo una copia della Piccola Donnina volante ed è bello pensare che sia planata lì prima di me, è un pensiero che mi fa compagnia.





Appunti di viaggio:

- sul regionale per Verona chiacchiero con una signora, in apparenza affabile, di biciclette e ciclabili, mi da anche il numero di un posto dove dormire sul Lago di Garda; qualche attimo dopo, la stessa signora perde del tutto la pazienza, proprio come si perde per strada qualcosa e all'improvviso si resta senza: un signore tedesco ha occupato il posto davanti a lei, spostando la sua valigia. Lei dice: non tocchi la mia valigia. Lui risponde laconico in tedesco. Lei allora gli schiaccia un piede, saltandoci sopra, proprio come si salta sopra un palloncino per scoppiarlo. Ribadisce il concetto dell'inviolabilità del suo bagaglio assestando al tedesco un pugno sul ginocchio, sbam! I toni in realtà non sono esasperati. Le botte, decise ma tutto sommato composte (e il tedesco è così massiccio che la signora sembra un moscerino che gli dia appena un po' di noia). Sono allibita.

- sullo stesso treno, accanto a me c'è una signora anziana, con un forte accento russo, nonostante parli molto bene l'italiano. Mi chiede indicazioni sui cambi dei treni e sulle coincidenze per Mestre, perché da queste parti non è mai stata. Andrà a sostituire un suo connazionale, dice, in una località che adesso non ricordo più, che ha "Piave" nel nome. Chiacchieriamo un po', cerchiamo sul mio telefono orari e binari utili, sollevo lo sguardo: la signora ha un sorriso che parla di gentilezza e di stanchezza in parti uguali. Ha lavorato per molti anni a Latina, mi racconta, così Roma la conosce bene. Le dico che allora farà in fretta ad ambientarsi da queste parti, che qui le città sono più piccole, niente che assomigli a Roma. Sorride, dice che l'importante è che ci sia lavoro. 
Saranno queste terre di antichi confini, di vecchie linee di difesa, ma quando la signora si alza per scendere alla sua fermata, penso ad un tratto che sono stata seduta accanto ad una combattente.

Qui a Bolzano entro in un'altra libreria e trovo un libro-gioco sulle leggende dell' Alto Adige. C'è una breve prefazione, ben scritta, da cui prendo appunti. 

"il luogo dei mostri è sempre all'estremità del mondo conosciuto"

"mostro: valore etimologico di meraviglia, essere fuori dall'ordinario"

"l'artificio per sconfiggerli è narrarli"

[Dal Lago Veneri e Visintin, Le creature leggendarie dell'Alto Adige]

Allora penso al mio nuovo progetto e mi dico che devo continuare, continuare, continuare, che di questo bisogna parlare.
Intanto, è quasi l'ora: domani si parte.


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