martedì 30 maggio 2017

Lo Spirito del Lago. Varese parte seconda

di Giulia Cocchella

La ciclabile del Lago di Varese è un conforto senza pari, per chi il giorno prima si sia perso tra ciclovie fantasma. Partiamo da Capolago, percorriamo un piccolo tratto di strada provinciale - perché ogni giorno deve avere la sua dose di brivido - poi alla seconda rotatoria il cartello Lago di Varese, di qua, ci guida senza indugio nelle giusta direzione.


Scendiamo all'altezza del Lido di Schiranna e siamo solo noi, le papere e i cigni.
I primi chilometri portano più vicino alla provinciale che alle sponde del lago, per riavvicinarsi poi all'acqua a Calcinate del Pesce, base di un aeroporto di volo a vela.
Oltrepassiamo Groppello e Oltrona al Lago, fino ad arrivare a Gavirate, dove il panorama si allarga e facciamo una sosta colazione e contemplazione.


È qui che incontriamo lo Spirito del Lago. 
Sarà il viale alberato che contiene e abbraccia, sarà il riverbero del sole, il cielo che diventa liquido nel suo riflesso e si fa toccare, ma non è possibile immaginare una cornice più adatta per questo incontro. 
Lo Spirito del Lago è un'anima silenziosa, negli occhi tutte le ere geologiche trascorrono come nuvole. È uomo e donna, adulto e bambino.


È uscito dalle mani della scultrice Stella Ranza, ma ha la qualità rara delle opere che mostrano l'invisibile, quello che già c'è. 
Tiene le braccia indietro e le gambe sono naturalmente immobili, perché nascono nel sasso.
Bada che c'è uno spirito in ogni creatura che vive, mi dice mentre scatto una fotografia, e poi mi mostra senza enfasi, senza neanche indicarla col dito, la vertigine dei cinque Regni - animalia, plantae, fungi, monera, protista - che si avvitano tra loro in un'elica gigantesca. C'è uno spirito in ogni creatura che vive, mi ripete. Metto via il telefono, resto lì in ascolto. Prima sarete pronti a capirlo, meglio sarà per voi, e meno paura vi farà la morte. Lo Spirito del Lago torna a guardare davanti a sé, la testa un po' piegata di lato in un cenno eterno di gentilezza con la Terra.
Ci sdraiamo sul prato lì accanto. Ci facciamo foto belle, foto buffe, foto da ridere, mentre le folaghe nuotano e i gabbiani volano sopra di noi.


Più avanti, un molo punta in direzione dell'isolino Virginia. Arrivano i canottieri.



Vicino a Cassinetta di Biandronno incontriamo il bivio che porta al Lago di Comabbio. Lo vogliamo vedere perché sembra sia ancora più bello di questo. Non è dato di capire con esattezza quanti chilometri stiamo aggiungendo ai circa trenta del Lago di Varese: le nostre fonti dicono nove, poi dodici, poi dieci, poi quindici... Partiamo!


Il Lago di Comabbio ci accoglie così, con un raggio di sole che buca le nuvole. 
Il carattere di questo lago è un po' diverso dal precedente, difficile spiegare perché, ma ha un'aria più austera, forse per la vicina palude, forse perché semplicemente anche il tempo è cambiato.


Il tratto più bello del percorso lo troviamo alla fine: una passerella di legno sospesa sull'acqua, che trasforma il panorama e lo apparenta al mare visto da una barca, o da una palafitta.



Un cartello invita alla prudenza in caso di pioggia, e non possiamo esimerci dall'aggiungere qualche foto ridicola al nostro book...


A questo punto, anche se non ai livelli di ieri, Simona incomincia a mostrare qualche segno di stanchezza. Me ne accorgo dal silenzio e dal sorriso stentato che nasconde la domanda: quanto manca? Il fatto è che manca poco, proprio poco, ma gli ultimi chilometri sono in salita. E non una salitella tra i prati: un bello stradone asfaltato, a traffico veloce, che dal Lago porta a Varese e alla sua stazione. 
Dopo poche decine di metri stiamo spingendo la bici a bordo strada e mulinando soluzioni alternative in caso di perdita di treno. Ma la bicicletta insegna l'adattabilità. Quando meno ce la spettiamo, dietro una curva come da manuale, ci si manifesta La Grande Alternativa: gialla, inaspettata, una palina del bus! 
Le regole sul trasporto bici sugli autobus non sono uguali in tutte le città, così dopo aver piegato le bici e compattato le borse il più possibile, decidiamo che Simona ha preso una storta, che non riesce a pedalare, che perderemo il treno se non ci fate salire, vi preeegooo fateci salire! Ci è tornato il buonumore quando il bus appare dietro la curva. Metto fuori il ditino e sorrido. Simona aspetta seduta con la gamba rigida e l'espressione dolente. Neanche il tempo di dire all'autista "siamo un po' ingombranti, ma..." che lui, il più buono di tutti i conducenti di bus, fa un gesto inequivocabile con la mano che significa: salite, nessun problema, non serve neanche che la tua amica sia zoppa. Ci rianimiamo, Simona torna a camminare e arriviamo a prendere il treno in orario. Chi l'avrebbe mai detto? Evvivaaa!

- La prossima volta potremmo andare... - 
- Cocchi... mai più. - 
- Ma... - 
- Mai. Più. - 










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