venerdì 13 maggio 2016

Bregenz - Costanza. Pane, burro e tempesta

di Giulia Cocchella



Ieri sera ho asciugato i miei vestiti con il phon, ma dopo poche pedalate questa mattina sono daccapo. Aggiorno la lista mentale di ciò che dovrò comprare per il prossimo viaggio, aggiungendo anche tre promemoria di carattere più generale: ricordati di controllare che il bancomat sia sempre abilitato per l'estero, ricordati di fare una ricarica telefonica generosa perché qualunque inconveniente di roaming può farti restare senza un soldo, ricordati di portare delle posate da campeggio.
Presi questi appunti mentali, penso soltanto a pedalare.
Ad Hard, un termometro lungo la strada segna sette gradi.



L'acqua bagna, è un dato di fatto, ma se si mette da parte il pensiero “mi sto bagnando”, il viaggio diventa divertente. Faccio meno foto di quelle che vorrei, perché piove con insistenza e il telefono è difficile da utilizzare, così finisco per essere più concentrata su ciò che ho davanti: non raccolgo immagini, vedo paesaggi.



Mi addentro nell'intrico di canali e fiumi che formano il delta del Reno, sbaglio strada, la ritrovo, prendo un argine, lo abbandono. Un gruppo di gabbiani – saranno un centinaio – si alza in volo all'improvviso come una polvere fitta sollevata dal vento, una via lattea diurna, di piuma.
Se solo mi fermo un attimo il freddo mi fa battere i denti, così regolo il cambio un po' più morbido di quanto potrei, in modo da mulinare di più sui pedali e tenermi caldo. Divento tutt'uno con la strada, con la mia bicicletta, con il mio doppio nelle pozzanghere e persino con la pioggia che mi lava la faccia.
In un prato punteggiato di fiori gialli, si accendono gli occhi gialli di un gatto.
Aggiro il paese di Gaissau, passando per una stretta stradina tra case e giardini perfetti, quando sulla mia destra compare un ristorante-caffetteria. Freno in un lampo e mi rifugio dentro. Un uomo sulla porta mi chiede da dove vengo. Ah Genova, la Liguria, Ventimiglia, dice in un italiano quasi perfetto. Ci vado ogni anno, aggiunge. Intanto una signora, forse la moglie, si affaccia alla porta e chiede: caffé? Mi si allarga il sorriso. La signora è gentile, mi parla in italiano, mi aiuta a sfilare la giacca e mi mette a sedere a un tavolo apparecchiato di bianco. Vicino a me c'è un signore anziano con un maglione azzurro, che ha l'aria di essere un abitué. Mi chiede se parlo tedesco e io no, solo italiano o inglese. Solleva una mano a dire Mannaggia, io solo tedesco invece! e intanto mi rivolge un sorriso gioviale, sdentato. Continua a parlare quella sua lingua a spigoli guardando me con un occhio e il proprietario con l'altro. Pensa che lei stia facendo il giro d'Italia partendo da qui, mi traduce l'uomo. Rido, ho solo una settimana! Come mai da sola? mi chiede il nostro interprete. Faccio un gesto con la mano, che vuol dire tutto e niente, che significa sfida e caso e colpo di testa. Ridono, rido anch'io. Quando mi alzo per pagare, il proprietario mi dice che no, il caffè è offerto. Guardo l'uomo col maglione azzurro. Lui spalanca un sorriso a finestra e fa scivolare le dita di una mano nell'aria davanti a sé: va bene così, è un piacere.
Saluto tutti uno ad uno ed esco dicendo arrivederci.



Tre giri di pedale e oltrepasso la frontiera: sono in Svizzera.
Lumache grosse come sassi attraversano lente la ciclabile.
Il bosco è verde intenso e gli alberi che fiancheggiano a un tratto la strada hanno appesi ai tronchi dei pannelli di legno con scritto...che cosa?




Sulla strada per Rorschach compare un edificio dai colori sgargianti e dalle linee rotonde: è il padiglione del mercato di Altenrhein, costruito dal bio-architetto Friedensreich Hundertwasser. “La linea retta è senza Dio”, pare sostenesse convinto, così non solo l'edificio se ne tiene distante, ma persino le strisce pedonali che portano all'ingresso sono percorse da una vocazione ondulatoria.


Sul lungolago di Rorschach, una scultura che gioca con le trasparenze suggerisce che l'uomo è il mondo che si porta dentro. O è un invito a dimenticarsi di sé per un attimo e a farsi lago, sasso, gabbiano?


Più avanti, due sirene gemelle siedono sulla O del loro canto fatale.



Arbon richiederebbe il tempo di una visita (anzi la mia guida suggerisce di chiudere qui la tappa di oggi) ma il freddo incalzante, la pioggia e il vento mi costringono ad un giro rapidissimo. 


Ingoio un bretzel che la signora della backerei ha farcito con una quantità di burro che io forse consumo in sei anni: è buonissimo! Poi ritorno sulla ciclabile e faccio tutti di fila i trenta chilometri che mi riportano a Costanza. 





So già dove andare a dormire, ritrovo persino la strada al primo tentativo. Domani è prevista tempesta e resterò qui. Domenica con l'Untersee chiuderò il mio giro.

1 commento:

  1. Accidenti questa Giulia da sola nella tempesta in giro per l'Europa...
    Non ha proprio paura di niente ...

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