martedì 13 gennaio 2015

Lago di Como. Ciclovia con vista

Quando Edward Morgan Forster fa incontrare le cugine Honeychurch e gli Emerson, sa benissimo cosa succederà. Lucy e Charlotte, alla pensione Bertolini, non hanno avuto la sistemazione che desideravano. Una vera scocciatura. Allora Forster dà una spinta con la penna al Signor Emerson e al figlio George, che si offrono di scambiare le loro stanze vista Arno con quelle delle meno fortunate signorine inglesi. Aggiungete un po' di remore eduardiane, metteteci che Forster ci andava forte con i romanzi, ed ecco la scintilla della storia: Camera con vista. Sui panorami non si scherza.
La ciclovia che costeggia le sponde del Lago di Como è a tutti gli effetti una ciclovia con vista, nel senso che non vi importa della strada, nemmeno vi accorgete delle auto che vi passano accanto: siete tutti concentrati sulla vostra finestra sul lago. E che finestra.


Sabato arriviamo a Lecco nel pomeriggio, la luce è orizzontale e c'è un gran fermento vicino all'acqua: cigni, bambini che accorrono per vedere i cigni, gabbiani, qualcuno che pesca.
Ci avviamo verso Bellagio perché i chilometri sono pochi, una quarantina, ma le ore di luce anche. È chiaro sin da subito, però, che quello che sembra un inconveniente - l'essere partiti più tardi - si rivela un'opportunità: la luce delle ultime ore del pomeriggio ci permette di vedere colori che altrimenti ci saremmo persi.


Subito oltrepassato il ponte, un cartello invita gli automobilisti a rispettare la distanza di sicurezza dalle biciclette che procedono sul lato destro della strada. Purtroppo il limite di velocità è dei cinquanta chilometri orari e nelle gallerie addirittura dei settanta, ma passate quelle, inizia una strada di solo piacere. Sulla nostra destra il lago ripete i colori del cielo e delle montagne, non con le tonalità accese del mare, cui siamo abituati, ma con una scelta di sfumature più delicate, che digradano l'una nell'altra.




Passiamo Onno, Vassena e Oliveto Lario, dove le lavandaie sciacquavano i panni nelle acque fredde del lago e gli zampognari scendevano dai monti vicini per raccogliere qualche moneta. Arriviamo a Bellagio insieme al buio.


È quasi tutto chiuso in questa stagione, ci informa la signora del bar del paese, ma con un po' di fortuna troviamo sia dove dormire che dove mangiare.
L'indomani mattina all'imbarcadero i gabbiani sorvegliano la sponda e papere e folaghe si fanno fotografare in piccoli gruppi. Facciamo colazione vista lago in un caffè dei primi del '900, che ha conservato mobilio, specchi e sapore di inizio secolo.

 


La strada per Como è un continuo saliscendi che attraversa borghi caratteristici e offre prospettive sul lago da diverse altezze.
Di fronte a Lezzeno, nella foschia che ci accompagna per tutta la mattina, vediamo affiorare Villa del Balbianello sul suo promontorio e l'Isola Comacina: sono poco più che un'apparizione all'orizzonte, nella luce che cambia a ogni nuvola. 



Vicino all'acqua, parcheggiata su un tetto, troviamo una tipica gondola lariana, che sembra uscita da un'illustrazione dei Promessi Sposi.


A Nesso guardiamo in basso, giù in fondo all'orrido che piacque a Hitchcock, al punto che vi girò una scena del suo primo film The Pleasure Garden, nel 1925. Virginia Valli e Miles Manders sono in viaggio di nozze sul Lago di Como e visitano proprio Nesso, dove il marito prende la rosa ricevuta da lei e la getta dritta dritta nel lago: era sfiorita, si giustifica. Hitchcock non era un romanticone come Forster.
Il vento forte e rafficato prima ci spinge, poi ci soffia contro. Ci fermiamo a mangiare un panino a Torno, dove la foschia ha già lasciato il posto al cielo terso, poi proseguiamo e a un certo punto la vista si allarga su Como.


Io ho una teoria: c'è qualcosa nel paesaggio italiano che induce anche la natura più flemmatica all'idillio, dice la signorina Lavish a Charlotte, tra i papaveri sulle colline di Fiesole, nel film che James Ivory trasse dal libro di Forster. I panorami sono una cosa seria, un panorama come si deve mette persino in moto un romanzo, ispira pittori a centinaia, fa girare la testa ai fotografi. Non è un caso se questo che viene chiamato il Triangolo Lariano ha inchiodato alle sue vedute così tanti scrittori, e naturalisti, e filosofi.
Per godere del panorama dall'alto, pieghiamo le bici e saliamo sulla funicolare di Brunate.
Sarà che in pochi minuti abbiamo coperto quasi cinquecento metri di dislivello, sarà che lo sguardo arriva lontano fino all'arco delle Alpi e c'è un cipresso enorme, a metà strada, che restituisce il senso della distanza, sarà il vento che soffia fortissimo, ma ho quasi una vertigine e mi tengo stretta al manubrio. A stare quassù troppo a lungo, uno può persino credersi dio. E pensare che ieri, a un certo punto, abbiamo pensato di non partire. Ci abbandoniamo alla discesa toccando i freni il meno possibile e torniamo a casa.


sabato 3 gennaio 2015

Pieghevolando a Sassello


di Giulia Cocchella

Io non so spiegarmi il perché, se sono le due ruote che fanno simpatia, se c'è una relazione tra la meccanica della bicicletta e la dinamica degli incontri. Forse è quel rumore da cinematografo che produce la catena a solleticare il racconto libero, forse è il campanello che sveglia la parte più viva di noi. Io non so perché, ma ogni volta accade e mi meraviglia: faccio un giro in bicicletta e mi trovo ad ascoltare storie.


Giacomo mi racconta che anche lui ci andava. Si interessa alla mia bici, che spunta dal sacchetto blu Ikea dove l'ho riposta, piegata, per il viaggio in corriera che ci attende. Da dove viene? Da Genova. In bicicletta? Fino a Voltri in treno, poi in bici fino ad Albisola. E dov'è diretta? A Sassello, rispondo. Anche lui, attendiamo lo stesso bus. Lo osservo mentre mi racconta dei suoi due Collie e del cavallo, di ciò che coltiva e dei funghi che raccoglie. Lo osservo e penso che ha i tipici tratti del savonese, che forse io riconosco in virtù delle mie origini, non so, ma più lo guardo e più mi sembra assomigliare a mio zio, persino a mia mamma, più lo guardo e più penso che le “o” strette e lunghe della parlata di qui devono avere a che fare con questi volti un po' affilati, con questi zigomi che sembrano piccole montagne. 
Giacomo ha occhi chiarissimi e brillanti, inizia a raccontarmi della sua vita seguendo l'ordine dei ricordi. Arrivano come onde, mi sembra di vederli, e lui tiene testa a questo moto ondoso con frasi brevi, spezzate a volte, frasi che seguo con attenzione, che perdo e poi riafferro. Ha avuto una vita avventurosa e adesso, adesso faccio cappelli, mi dice, proprio ora che la gente non ha testa. Non so se stia parlando sul serio o no, ma quello che vuol dire è chiaro e non chiedo spiegazioni.
Intanto arriva la corriera, saliamo. Io ho la terza elementare ma ho letto milleottocento libri, mi dice Giacomo, con una sicurezza che mi convinco li abbia contati. Non sopporto l'ignoranza, mi fa prudere le mani, bisogna saper coniugare i verbi ed esprimersi come si conviene. Ma Giacomo non solo si esprime in modo conveniente, è un piacere ascoltarlo, e anche se dovrei guardare avanti perché la strada che si inerpica tra i boschi è tutta curve, anche se il panorama potrebbe distrarmi, non riesco a staccare gli occhi da lui che racconta.


Parliamo dei funghi, delle stufe a legna e dell'amicizia uomo-donna come se fossero la stessa cosa. E forse è così. Bisogna impegnarsi a diventare qualcuno, a realizzare qualcosa, dice Giacomo a un certo punto, poter dire: io sono... Quanto a me, posso dire: Io sono stato. Sorride. Mi dice che raccoglie così tanti funghi quando è stagione che li regala a barattoli.
Scendiamo alla stessa fermata per salutarci.
Io ho ancora un po' di strada e ringrazio di essere scesa prima perché è un piacere attraversare in bicicletta questi ultimi chilometri in mezzo ai boschi: tutta discesa, profumo di legna tagliata, cascatelle di ghiaccio e alberi spogli che si intonano al sole invernale.


Sassello si annuncia con alcune case sparse tra gli alberi, che sembrano uscite da un libro di favole. Arrivo al paese e inizio a girare per le vie strette, in bicicletta e a piedi. Credo di esserci stata da bambina, ma non ricordo nulla, così guardo tutto come fosse la prima volta: la Chiesa della Santissima Trinità, le case che affiancano le loro facciate colorate, le insegne dei panifici che promettono focacce e amaretti. Saranno i colori dell'inverno, le tonalità di grigio che il freddo impasta sui mattoni, sugli intonaci, sulle tegole dei tetti, ma c'è una morbidezza in questo paese, qualcosa che non saprei dire meglio di così.


Trovo un ponte di origine medievale che faccio a piedi, spingendo la mia bicicletta rossa tra i colori freddi delle pietre antiche. Incontro una famiglia con due bimbe che ridono delle mie ruote piccole.


In paese, la pieghevole suscita curiosità. La più entusiasta è la signora del negozio di amaretti. Si ferma fuori a chiacchierare e mi da indicazioni sulle corriere e su un lago che è qui vicino. Io sono entusiasta dei suoi amaretti e ne compro un pacchetto di quelli tradizionali e uno assortito. Si avvicina anche il signor Badano – si presenta – l'ex Sindaco di Sassello, fa un giro attorno alla bici, mi dice compiaciuto l'ho vista che faceva foto. 


Sarebbe bello che questo territorio venisse valorizzato come merita. Di che cosa si occupa lei? Chiacchieriamo e prometto che gli manderò il mio articolo sulla gita a Sassello, ma non è un sito di risonanza internazionale, è soltanto un blog personale, sorrido. Lui invece si acciglia: non si sminuisca. Poi mi dice, a bruciapelo: si ripeta, Io faccio grandi cose, Io faccio grandi cose... Lo ripeta tre volte al giorno, prima dei pasti. Poi sorride e se ne va.
Dev'esserci un rapporto tra la meccanica della bicicletta e la dinamica degli incontri. O forse è merito del rumore discreto delle ruote sulla strada. O la giusta velocità di movimento. Io non so perché, ma ogni volta accade e mi meraviglio.

venerdì 2 gennaio 2015

Mon commencement

di Giulia Cocchella

Prima della fine di ogni anno mi compro l'agenda nuova.
La scelgo con cura, che mi piaccia, che sia abbastanza grande da contenere tutto e abbastanza piccola da stare in una borsa piccola. La scelgo sempre diversa. Poi annoto i compleanni, copiandoli dall'agenda vecchia (li scrivo colorati, perché si distinguano dagli impegni, e perché mi piace ricordarmi quando sono nati i miei amici) e facendo questo, inevitabilmente, finisco con il rileggere tutti insieme gli impegni trascorsi, gli appuntamenti passati, i vecchi orari di lavoro.
Se c'è una cosa che odio di più dello stilare liste di buoni propositi per l'anno a venire, è fare bilanci dell'anno appena trascorso. Però questa volta è diverso.
Sarà che il 2015, con tempismo da buongustaio, è scoccato mentre stavo infilando in bocca l'ultimo cucchiaio di crumble di mele della mia amica Rosi, sarà che il brindisi di capodanno è stato davvero una bevuta alla salute delle buone notizie, sarà che la prima cosa che ho fatto, messo piede nel nuovo, è stato pedalare in buona compagnia, ma questa volta, questa volta è diverso.
Sfoglio le pagine e ritrovo le date dei reading del nostro Collettivo. 


Sono stati moltissimi, carichi di emozioni e ogni volta ho pensato: questo, prima non c'era. Rileggo le scadenze di alcuni lavori, consegnati in tempo, e realizzo che è stato un anno di molta scrittura, come mai mi era capitato prima. Sotto il 23 di Agosto c'è la lista dei bagagli per il Salento, che più che un viaggio in bicicletta è stato un bagno di vita. 


Recupero le date del mio primo viaggio a pedali in solitaria e dell'avventura in Emilia con Valeria. Sul piacere di perdersi, se dovessi trovare un titolo che si adatta a tutti e due. 
Conto le biciclette che mi sono cresciute in soggiorno quest'anno: due in più. La libellula blu, Olmo dei bei tempi, molto più vecchia dei miei anni, trovata in una cantina, si può dire, e tornata ad affacciarsi in corsa ai panorami del lungomare. E la Brompton rossa, arrivata ieri a trasportarmi da un anno all'altro con la sua irresistibile pieghevolezza: i miei primi diritti d'autore trasformati in bicicletta e insieme la possibilità del viaggio assoluto, che non si ferma davanti a niente, neanche al mare (perché si piega, e sale sulla nave!). 

Un esame, quest'anno: quello conclusivo del corso di massaggio, anche questo a suo modo un viaggio in terreni mai esplorati prima, alla scoperta del corpo umano (!) e delle meravigliose, miracolose connessioni che operiamo tra noi e noi, nell'unità del nostro sé psico corporeo.
Così penso che a voler trovare una parola simbolo per l'anno appena trascorso, la parola è viaggio.
C'è un libro, uscito da poco, mirabilmente disegnato da Aaron Becker. Si intitola Viaggio, appunto. Una bambina disegna una porta sul muro della sua camera, e la porta si apre su un bosco pieno di lanterne che galleggiano nell'aria. La bambina lo attraversa, poi incontra un fiume. Così disegna una barca, sale sulla barca e prosegue il suo viaggio. Il finale vorrei raccontarvelo perché mi piace moltissimo, e piacerebbe anche a voi, ne sono sicura, se siete qui a leggere. Ma non si calpestano i fiori, e non si svela il finale dei libri.

Aaron Becker
Vi basti, e basti a me, come chiusa d'anno e come buon auspicio per quello nuovo, che disegnare una porta ci permette di aprirla, che tutto ciò che possiamo immaginare nella nostra testa, è possibile nella realtà del nostro viaggio.
Se vuoi fare una cosa falla subito, adesso, non domani, ha detto oggi il mio amico Ale, mentre pedalavamo verso Savona. Mi piace pensare di avere iniziato quest'anno così: Ma fin est mon commencement!