sabato 24 ottobre 2015

Mongolfiere di carta e porte dipinte. In bicicletta nell'imperiese.

di Giulia Cocchella

Sfruttano i venti diversi che si trovano a seconda dell'altitudine, racconta Domenico. E le gare sono lentissime, da morire di noia. Le mongolfiere si avvicinano al bersaglio di fine gara, lanciano dall'alto un sacchetto di terra, poi proseguono il loro volo, atterrando dove capita.
Domenico lo incontriamo per caso, sul treno diretto a Imperia. Non appena lo informiamo della nostra destinazione - Bellissimi, il paese dei balui, le mongolfiere di carta - inizia a raccontarci quello che sa. E Domenico è uno di quegli uomini che sa parecchio di tutto, che si interessa di ogni cosa e di niente in particolare, come dice lui stesso, ma io credo che non sia del tutto vero. Di sicuro ha volato in mongolfiera, e il suo racconto incanta. Ci sono mongolfiere con il classico cestello di vimini, ci racconta, e altre monoposto, con una specie di sedia per viaggiatori solitari. La fase del gonfiaggio è la più delicata: due uomini tengono il pallone in due punti opposti della circonferenza, poi si accende il fuoco. Bisogna stare molto attenti a non arrostirla, dice, quindi scende dal treno qualche fermata prima della nostra.
Dalla stazione di Imperia Porto Maurizio, le strade possibili per raggiungere Dolcedo sono due, più o meno equivalenti sia per chilometri che per panorami. Scegliamo la SP41, che in meno di otto chilometri, con leggera salita ci porta in paese.





Dolcedo sembra reggersi tutta attorno alla gobba del suo ponte, con le case e il campanile di S.Tommaso che si piegano verso il torrente come giunchi di fiume. Gli archi che reggono le case sono sovrapposti, accostati, si incontrano distonici, sintonici, assonanti, noncuranti: sono scritture architettoniche che il tempo ha inciso a casaccio. 
Attorno a questo Allegro di pietre ci sono fiori in vaso e fiori che nascono spontanei, rampicanti che ricoprono tutto e muschi che il tempo ha usato come malta sui muri.




La strada che da Dolcedo porta a Bellissimi è breve e in leggera salita. Si arrampica tra gli ulivi, in uno scenario che a ottobre, in piena stagione di raccolta, è uno spettacolo quasi straniante di reti colorate, tese nella penombra, tra i tronchi che si avvitano nella terra.





Subito il paese delle mongolfiere di carta si fa riconoscere per i suoi dipinti sui muri delle case, per le decorazioni alle porte e alle finestre. 
Era mia intenzione farmi raccontare il più possibile attorno a questa particolare tradizione, ma il paese sembra deserto. Incontriamo soltanto un abitante (dei trentanove disponibili, come apprenderò più tardi), che chiacchiera volentieri, ma solo di ciò che vuole lui. Si fa fotografare, poi ci saluta con un cenno della mano e si mette ad aspettare un bus che sembra non arrivare mai.


I balui si lanciano la prima domenica di settembre in occasione della festa della Madonna della Misericordia, ma di più non mi è dato di scoprire. Sono mongolfiere fatte di carta, simili alle lanterne orientali. Sono cugine delle maniche a vento, ma più libere, di più facili costumi per così dire. 
Si abbandonano al vento con la fiducia di chi, per natura, non prende una direzione. 
Bellissimi, come molti paesi arrampicati sulle colline, mostra la sua bellezza più tipica negli spigoli.



Quando torniamo a Dolcedo, mi dico che forse meglio così, meglio non aver saputo niente: tutto ciò che vola sfugge al controllo per definizione. Questo, mi serva da lezione.
Dopo una breve sosta per il pranzo, riprendiamo la strada per Valloria. 
Sono sette chilometri di salita che non dà tregua, ma il traguardo ripaga del tutto della fatica.
Valloria è entrata nel circuito dei "paesi dipinti" italiani in virtù delle sue porte.
L'idea di trasformare le vecchie porte del borgo in tavole da dipingere, a disposizione di artisti di varia formazione e provenienza, è un'iniziativa che la dice lunga sulla vocazione all'ospitalità di questo piccolo paese. Se poi si pensa che la porta, per sua natura e definizione, è una soglia tra dentro e fuori, tra pubblico e privato, tra un qualcosa e un qualcos'altro, allora il simbolismo si approfondisce.




Lasciamo le bici al sicuro e giriamo a piedi tra le case. 
Penso che questo posto è la cura per chi ha perso l'entusiasmo, è la gita ideale per chi crede di non avere più nulla da guardare. Intanto, crescono in me, a prova di vertigine, l'ammirazione per ciò che vedo e la voglia di dipingere, una volta tornata a casa, ogni battente che ho a disposizione, dalla porta d'ingresso al pensile della cucina. Al ritorno, mi dico, al ritorno.




L'aria si fa più azzurra quando decidiamo di tornare indietro; la discesa ci fa indossare tutti gli strati di cui ci siamo disfatti in salita. 
Io non so niente di più di quando sono partita, se non che per volare bisogna essere pazienti e che per varcare una porta, a volte, basta disegnarci un giardino, o una cerniera. 
A ben vedere, non è molto, ma nemmeno così poco.