domenica 24 agosto 2014

Pizzicati

di Giulia Cocchella


Da Lecce a Melpignano, la strada la fanno gli ulivi.
Ci sono dodici piante per abitante, dice Carlo, la nostra guida, e poco più tardi Nunzia ci racconta che erano i marinai a lavorare nei frantoi ipogei, nei mesi in cui il mare dava loro meno da fare. Scendevano sotto terra il giorno dei Morti e ritornavano in superficie soltanto a Pasqua.
Pedaliamo in mezzo a questi monumenti naturali, i cui tronchi sembrano fatti di carne. Il vento, nei secoli, ha scolpito volti, braccia intrecciate, corpi che lottano, che si amano, che ballano all'ombra delle fronde, i piedi affondati nella terra rossa.


Ci muoviamo lentamente in questo paesaggio che resta uguale e insieme si rinnova, e iniziamo a chiacchierare tra noi. Siamo tanti, davvero troppi per ricordare i nostri nomi, ma non importa: è bello abbandonarsi alla musica variabile dei nostri diversi accenti.


Musica è anche quella che ci aspetta a Corigliano d'Otranto, alla Masseria S. Angelo.
Giuseppe ha novant'anni ed è l'ultimo sopravvissuto dei quattro "Ucci", storici suonatori di pizzica salentina. Ci regala una canzone, accompagnandosi con l'organetto, poi col tamburello. 


Lo ritrovo, più tardi, mentre si prepara a mungere le capre. La taranta è una cosa seria, mi spiega: un tempo, nei campi, il rischio di essere "pizzicati" c'era davvero. Quindi aggiunge qualcosa sul lavoro in masseria, che prima di essere un b&b era una fattoria a tutti gli effetti, ma capisco una parola sì e una no, così finisco per lasciarmi ammaliare dai suoi gesti, dal suo dire le cose con gli occhi.
Continua a raccontare la sua storia anche quando ha finito di parlare, gliela leggo nei solchi profondi attorno alla bocca, la trovo scavata sulla sua fronte, tra le vene rilevate delle mani, nervose, da musicista.
Lasciamo Corigliano per dirigerci verso Melpignano, dove ci attende la notte della Taranta.


"Qui cresce nella natura il ragno della follia e dell'assenza, si insinua nel sangue (...). Qui cresce tra le spighe del grano e le foglie del tabacco la superstizione, il terrore, l'ansia di una stregoneria possibile, domestica" Salvatore Quasimodo

Dov'è il discrimine tra follia e abbandono? C'è davvero un finis terrae, un confine invalicabile?
Ma soprattutto: che ne sarà di noi, stasera, dopo il morso?





2 commenti:

  1. Non c'è discrimine tra follia e abbandono… Si sovrappongono…
    Non c'è limite, nell'interiore. é vastità senza confini
    Che ne è stato di voi dopo il morso???
    M

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  2. Ulivi come corpi intrecciati. Ragni che regalano follia. Storie raccontate da volti.
    Che meraviglia Giulia!
    Ti abbraccio,
    Federica

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