giovedì 24 luglio 2014

Le forme dell'acqua

di Giulia Cocchella

Questa mattina* parto presto: voglio arrivare a Casalmaggiore, circa 60 km, in tutta calma, per poi proseguire nel pomeriggio, se ancora ho gambe, fino a Borgoforte.
Da Cremona l'argine svetta sottile in mezzo ai campi di granoturco, mentre ancora sulla sinistra spunta, cima tra le cime degli alberi, la grande torre campanaria.
Mi sento bene, ancora meglio di ieri, piena di gratitudine per il mio pedalare, per le pannocchie, le cornacchie, persino per le nuvole che incombono.
L'argine fa qualche curva in mezzo ai campi e ad un certo punto il verde dominante è solcato dalle cascate d'acqua degli idranti.





Si vede di tutto, nelle forme dell'acqua.
Subito si alzano fantasmi umidi, sorgono dalla terra o piovono dall'alto, hanno teste di anguilla, poi sviluppano nasi sempre più grandi fino a dissolversi. Spiriti lacrimevoli, freddi come grandine, la terra li inghiotte e poi li libera in nebbia.
Mi fermo a guardare per un po'. Sulla strada non passa nessuno, così sento solo il rumore dell'acqua che cade e i richiami delle cornacchie.
Poi, i cartelli che fin qui mi hanno guidata per mano, "Golena del Po", spariscono e vengono sostituiti da "Ciclabile dei bodri".
Va bene, va bene, mi rassicura una signora che incontro sulla strada. Va nella mia stessa direzione, almeno per un tratto, ed è vestita con quella noncurante eleganza che hanno le signore di pianura in bicicletta, con la gonna e le perle alle orecchie. Da dove viene? mi chiede. Da Genova, ma in bici da Piacenza. Ostrega, commenta. Che bei posti avete, le dico, e lei mi racconta che appena può, anche solo per dieci minuti, esce da casa e va a pedalare sull'argine. C'è bel verde, e calca sulla erre. Peccato per le cascine abbandonate, continua, quando da ragazza passavo di qui, dalle cascine venivano rumori di lavoro e le voci dei bambini. Fa una pausa e il silenzio si infila tra le nostre biciclette che corrono parallele. Per un attimo me lo immagino quel vociare e mi sembra di sentirlo. Qui è zona di bodri, mi dice, gli stagni, sa. Ma ce n'è meno, perché han seminato anche quelli. 'Sta mania di coltivare anche i fossi! Ride e nei suoi occhi mi sembra di veder sfilare un panorama diverso da quello che vedo io. Poi mi saluta, buon viaggio e buona fortuna! buona giornata a lei, cara signora di pianura, con le perle alle orecchie.


E gli stagni ci sono davvero, segnalati da cartelli didattici ma più ancora da forti concerti di rane. Scendo dalla bici e vado a vedere.
Stagni, posti da Ninfe, le Limniadi, che abitavano le acque paludose e forse per questo restavano eternamente giovani. Il cartello mi informa che oltre a molti tipi di rane posso trovare anche il Martin pescatore, che scava il suo nido nella terra delle rive, appena sopra l'acqua, a quanto vedo dal disegno.
Resto appostata per un po' nella casetta di foglie che serve per spiare la vita segreta dello stagno. Si muove qualcosa , ma non riesco a capire di che animale si tratti. 
Proseguo e dopo qualche chilometro, almeno una decina, passo davanti ad una cascina che mi sembra di avere già visto. C'è anche lo stesso cane che abbaia. Vado oltre e la sensazione di deja vu si ripropone, infingarda come i peperoni o le melanzane fritte: ho fatto un percorso ad anello. Il fatto strano è che non ho incontrato deviazioni e ho sempre seguito i cartelli della ciclabile (che a un certo punto sono cambiati, però...). Decido di non abbattermi e paziente come un criceto nella sua ruota rifaccio lo stesso percorso e cerco di capire dove ho sbagliato strada. Una decina di chilometri più tardi sono daccapo. Intanto il sole è alto e inizio ad avere fame. Incontro un ciclista e chiedo. Il ciclista che sembra un autoctono dice dritto, poi giri a destra, poi giri a sinistra, poi c'è uno sterrato, poi un'altro bivio, ma non per le cascine eh?, proprio un bivio vero, senza cartelli, ma tu prendi a destra fino alla provinciale, poi...Io ripeto tutta la lezione davanti a lui, il ciclista autoctono mi promuove e io riparto, concentratissima.


Le nuvole sono sparite del tutto, sulla strada ci siamo io e qualche lucertolona verde che mi vede e scappa.
Ho la sensazione di aver sbagliato bivio. E anche un senso di disagio nell'andare. Mi fermo: ruota posteriore a terra e taglio sul copertoncino che sembra sia passato Zorro. Ostrega.
Mi dico che ce la posso fare, che almeno la camera d'aria sono capace a cambiarla, me l'ha insegnato il mio amico Matteo (e quasi mi viene da piangere a pensare al mio amico Matteo, ma resisto).
Mentre ancora sto armeggiando con la ruota, inaspettato e incredibile, fruscia accanto a me un ciclista.
Delio sulle prime è di poche parole, mi chiede gli strumenti e io glieli passo solerte: sembra di essere in sala operatoria. Poi mi dice: questo copertone va cambiato. Per Casalmaggiore c'è meno strada ma non so se ne trovi uno. Invece se torni a Cremona con me, io ce l'ho, te lo cambio. Decidi tu.
Mentre lo seguo sulla strada del ritorno e mi faccio un altro giro di giostra in mezzo agli stagni, Delio mi racconta che fa il meccanico di biciclette (ma per passione, solo per gli amici, specifica), che la scorsa estate ha girato tutta la Tunisia in bici e che ha una protesi al ginocchio destro. Va così veloce, Delio, con la sua protesi, che lo inseguo sugli argini senza aprire bocca - pedala e ascolta, ascolta e pedala - e se non tiro fuori la lingua è solo perché nell'aria volano parecchi insetti.
Sua moglie è una divanaia, la descrive così, se no andrebbe con lei, invece va da solo. E tu non hai trovato nessuno? mi chiede, riferendosi a questo viaggio. Gli dico che no, che va bene così, e sembra capire al volo.
Quando arriviamo a Persico, la frazione di Cremona dove abita, Patrizia mi guarda un po' stupita, poi subito sorride e mi offre un boccale di birra enorme, sarà almeno mezzo litro.
Intanto Delio armeggia con il copertone ma dopo poco lo sento imprecare in un dialetto tra il lombardo e l'emiliano, farfuglia qualcosa come: questa è una ruota particolare, ma non dice proprio "particolare".
Scopriamo che le mie ruotine da 26 non sono standard e l'unica è rattoppare il mio vecchio copertone.
Chiaramente il mio meccanico preferito ha anche tutto l'occorrente per fare toppe ai copertoni.
Sarà la birra, sarà che la generosità mi fa ritornare la fiducia nel genere umano, ma io, in questa officina, di questa casa, di questa frazione di questo mondo mi sento felice. Felice di aver bucato!
Quando è il momento di andare, un po' mi dispiace. 
Fermati, mi dicono, dormi qui e domani riparti, ma a me è venuta l'idea di caricare la bici sul treno e riguadagnare Casalmaggiore, così domani la strada sarà ancora diversa. 
Li ringrazio, li ringrazio ancora e poi li saluto con la mano. 
Delio e Patrizia dal cancello di casa che fanno ciao. 


[*ieri, ormai]


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