sabato 26 luglio 2014

Quattro laghi, un fantasma e una biologa nottambula


di Giulia Cocchella



A cercarli con metodo, i fantasmi sono come i funghi: si trovano ovunque.
Con il tempo ottobrino mi concedo un giro da turista a Mantova e sotto la pioggia battente incontro lei, Agnese Visconti, o meglio la sua ombra.
Agnese sposò Francesco I Gonzaga non per amore, e nemmeno per noia: le due famiglie dovevano consolidare i rapporti politici e allora si usava consolidarli così. Il pacchetto Visconti comprendeva anche una dote di 50.000 scudi d’oro e un pugno di città.
Però capitò che Agnese diede al marito una sola figlia femmina, Alda, e come non bastasse suo padre, Bernabò Visconti, fu ucciso dal cugino Gian Galeazzo che divenne così il nuovo signore di Milano. Agnese diventò una moglie inutile. Bastò appiopparle un amante per poterla eliminare.
Francesco I, che la storia definirebbe senza scrupoli e io chiamerei lurido bastardo, puntò il dito contro il cavaliere Antonio da Scandiano e disse: adulterio! Seguì un processo fasullo, quindi i due presunti amanti furono uccisi. Era il 7 febbraio 1391.
I corpi vennero sepolti in terra sconsacrata,  proprio dove ora si trova una targa commemorativa, nel cortile di Palazzo Ducale.
Agnese aveva ventitré anni.
Palazzo Ducale lo giro tutto, in lungo e in largo, vado a vedere la Camera Picta di Mantegna, ammiro le sinopie di Pisanello, sbadiglio davanti agli arazzi e frugo negli infiniti riflessi della galleria degli specchi. Niente.
Il minimo è che la poveretta si lamenti. E accenda e spenga le luci di Palazzo Ducale e del Castello a suo piacimento, come riferiscono gli abitanti di Mantova.
Ma oggi non accade niente di strano.
Esco in Piazza Sordello. C’è qualche turista, e i mantovani in bicicletta aprono gli ombrelli tenendo il manubrio con una sola mano.


Venerdì: finalmente riappare il sole!
Esco presto, vado a comprare una camera d’aria di scorta nel più vicino negozio di biciclette e parto alla volta di Peschiera del Garda.
Avevo detto Ciclovia del Po?
Sì, l’avevo detto, ma è dolce cambiare idea.


Tafani e zanzare, che sul fiume hanno certificato i miei prosciutti con tondi ponfi rosa, lasciano qui il posto alle libellule e ad altre graziose bestiole.



La strada è segnalata con molti cartelli che addirittura forniscono la distanza percorsa e quella da coprire, con una precisione che mi commuove.
Perdersi è creativo, ma a volte è bello anche sapere di essere sulla strada giusta.
Mi rilasso e mi godo il panorama che si stende piatto a perdita d’occhio, in tutti i toni del verde.
Ora sulla mia sinistra, ora sulla mia destra, scorre il Mincio, sorvegliato dagli aironi.
Ci sono prati che sembrano di seta.


Ci sono folaghe, gallinelle d’acqua, mucche e persino un maiale che si rotola nel fango con visibile soddisfazione.



Peschiera del Garda si annuncia con alte mura circondate dall’acqua, una specie di grande castello con fossato, senza coccodrilli a minacciare i canoisti.
È una città molto ordinata, non un geraneo fuori posto, affacciata su un mare chiuso, senza tempeste. La giro piano in bicicletta, poi all’improvviso mi viene una fame tremenda e mi fermo.

Quando riparto per tornare a Mantova, il sole è alto e mi sento colma di una grande calma: non ho forato, ho trovato e mantenuto la strada (per quanto fosse facile) e ho raggiunto la meta che desideravo.
Una coccinella mi promette che anche il ritorno sarà un buon viaggio.


Gli ultimi tre chilometri seguono le rive del Lago Superiore, dove un’inaspettata distesa di fiori di Loto mi fa rallentare e poi fermare. Tutta questa delicatezza galleggiante, esotica e insperata, incornicia il profilo della città, sospesa sull'acqua.


C’è una storia curiosa, dietro queste foglie larghe che le folaghe usano come zattere.
Era il 1921, una sera d’autunno per essere precisi, quando una giovane ricercatrice di scienze naturali, Maria Pellegreffi, uscì in barca sul Lago Superiore.
Con Maria c’erano l’amica Elvira, il fidanzato Aurelio, e alcuni rizomi di Nelumbo nucifera.
Maria sapeva che i fiori di Loto vanno seminati di notte perché maltollerano la luce e aveva intuito che il Lago Superiore avrebbe fornito loro l’habitat ideale.


Aveva ragione: i fiori, che pure provenivano dalla Cina, si trovarono benissimo nel lago mantovano e si propagarono sulla sua superficie fino a coprire alcune decine di ettari.
Ritorno in città con gli occhi e il naso ubriachi di bellezza. Ora non resta che stupire il palato con i tortelli di zucca.
Attraverso piazza Sordello, spingendo la bici che sobbalza sul pavimento di pietre tonde.
Penso a Maria e alle risate che cent’anni fa devono essersi fatti, quei tre, sul Lago Superiore.
Un lampo di luce arriva da sinistra, dal Castello. Come se qualcuno avesse aperto o chiuso una finestra. Ma non c’è nessuno.
Proseguo ancora verso Piazza delle Erbe, con la testa piena di storie da portare a casa.


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