sabato 8 febbraio 2014

Un altro modo è possibile

di Giulia Cocchella

La storia a volte è fatta di coincidenze sorprendenti, frutto del caso, se volete tagliar corto, o conseguenza della sincronicità, se siete junghiani irriducibili. Qualunque opinione abbiate in merito, è un fatto che alcune cose accadono insieme. E non è che possiamo far finta di niente.
Anno 1885: l'inglese John Kemp Starley costruisce la seconda versione della bicicletta Rover, ovvero la prima bicicletta moderna, con telaio chiuso, trasmissione a catena, ruote a dimensione parificata e sistema frenante a manubrio. Siamo in Inghilterra, nello stesso anno, negli stessi giorni, in Germania, Gottlieb Daimler e Carl Benz mettono a punto il motore a scoppio della prima automobile.
Questa contemporaneità significa almeno due cose: che l'automobile non è un derivato della bicicletta, cioè non segna una tappa evolutiva successiva nella storia dei trasporti, e che la bicicletta non è figlia di uno spirito contestatario ecologista (che sarebbe stato anacronistico a quei tempi, tra l'altro).
Perciò se volete tagliar corto dite pure che è un caso, ma nel 1885 l'uomo si è trovato a poter scegliere tra due possibilità, quanto e come utilizzare due invenzioni di grande portata.



Ha vinto la macchina, è chiaro. Le città si sono progressivamente rese adatte al transito delle "capsule individuali di accelerazione", come le chiama Ivan Illich, e sempre meno adatte ad altri tipi di transito, fino ad arrivare al paradosso delle aree pedonali, in cui l'uomo pedone, quello senza corazza, può muoversi in sicurezza.
L'uomo è cambiato, ha ampliato il suo raggio di azione, e la possibilità di percorrere in breve tempo lunghe distanze ha fatto del trasporto un'industria, della velocità un valore capitalizzabile. Fino a quando? Qual è la soglia critica?
Illich - ed erano gli anni '70 - affronta concretamente il discorso parlando di wattaggio pro capite e definendo i quanta critici di energia incorporati in una merce.
Serge Latouche riporta come attendibili due date a noi molto vicine: l'esaurimento definitivo delle risorse non rinnovabili, stimato attorno al 2030, e il crollo per inquinamento nel 2040. Certo non ci sono solo le auto, ci sono anche. Certo bisognerebbe smantellare tutto il sistema, bisognerebbe che le linee guida del sistema fossero condivise da tutti, singolarmente. Come si esce dalla società dei consumi, Latouche ha dedicato più di un libro a questo argomento. Come si esce? In bicicletta. provocatorio? Sì. Insufficiente e visionario? Quanto basta. Però è qualcosa, un gesto, un modo altro che si oppone all'abitudine, al "si è sempre fatto così".
Di recente negli Stati Uniti si sono perfino accorti che la bicicletta - l'industria della bicicletta, il ritorno d'investimento sulla ciclabilità, i risparmi in termini sanitari - costituisce un vero e proprio settore economico in rapida crescita. Bikenomics, l'hanno chiamato.
A me queste cose dispiacciono, non lo nascondo. Trovo deludente che per valutare la "bontà" di un nuovo fenomeno come il ritorno alla bicicletta si debbano ancora utilizzare le vecchie categorie di giudizio (senza contare che, pur non avendo dati alla mano, mi sento di affermare che molti tra i ciclisti urbani vorrebbero un'altra economia, diversa da quella obsoleta e fallimentare che ancora stiamo tenendo in vita), ma purché serva...
Chissà dove stiamo andando. Nel dubbio, lasciamo a casa la macchina e andiamoci in bicicletta.







"La gente ha creduto per secoli che i corsetti fossero indispensabili, che mangiare frutta facesse male, che lavarsi allontanasse i buoni umori e che il miglior modo per educare i figli fosse prenderli a sberle: poi ha smesso." Franco La Cecla







Bibi Bellini, L'economia che gira su due ruote, in Consumatori, Dicembre 2013
Ivan Illich, Elogio della bicicletta, Bollati Boringhieri, Torino 2006
Franco La Cecla, Per una critica delle automobili (postfazione a Ivan Illich, Elogio della bicicletta)
Serge Latouche, Come si esce dalla società dei consumi, Bollati Boringhieri, Torino 2011