di Giulia Cocchella
Tra tutti i tipi di psicosi, la monomania per i campionari non è tra le peggiori.
Che poi, nel mio caso, non si
tratta davvero di un problema – come dicono tutti? – piuttosto di una cosa che
mi piace fare. Mi piace descrivere i luoghi per campioni.
I campionari sono una cosa meravigliosa.
I campionari sono una cosa meravigliosa.
Una volta provai a rubarne uno
nel negozio di colori dove ho comprato la vernice per la cucina, ma niente da
fare, il negoziante se ne accorse e mi disse quello è mio signorina, mi disse
lo lasci qui.
Allora provai a chiederlo in
regalo, qualche tempo dopo, in una bottega più piccola nel centro storico, così
piccola, così bottega, che mai avresti pensato ad un rifiuto. E invece sì: i
campionari, chi ce li ha se li tiene stretti. Come biasimare? Un tale
prontuario di colori che digradano l’uno nell’altro, catalogo delle sfumature, deliziosa
enciclopedia cromatica di tutto lo scibile…
Con un campionario tra le mani si
dispiegano tutte le possibilità: ogni scelta è possibile e lo sono tutte.
Campionare un luogo è un’operazione interessante perché permette di smontarlo in pezzi più piccoli senza dividerlo, consente la visione panoramica ma attraverso i singoli dettagli. Perché anche qualora la nostra visione periferica sia molto sviluppata, non sono quasi mai i panorami , ma i singoli colori che ci colpiscono, le singole forme. Una dimostrazione di questo sta nel modo in cui funziona la nostra memoria: un piccolo oggetto, un odore o una precisa tonalità di blu fanno riaffiorare la visione d’insieme.
È così che voglio mostrarvi la Ciclabile di Levanto, per campioni.
Campionare un luogo è un’operazione interessante perché permette di smontarlo in pezzi più piccoli senza dividerlo, consente la visione panoramica ma attraverso i singoli dettagli. Perché anche qualora la nostra visione periferica sia molto sviluppata, non sono quasi mai i panorami , ma i singoli colori che ci colpiscono, le singole forme. Una dimostrazione di questo sta nel modo in cui funziona la nostra memoria: un piccolo oggetto, un odore o una precisa tonalità di blu fanno riaffiorare la visione d’insieme.
È così che voglio mostrarvi la Ciclabile di Levanto, per campioni.
I cinque kilometri e mezzo che da
Levanto portano a Framura, passando per Bonassola, sono un incessante
alternarsi e sovrapporsi di grigio asfalto, azzurro mare, verde foglia, azzurro
cielo.
L’impatto è ancora più
entusiasmante perché queste finestre di colore si aprono all’improvviso nel
mezzo di un tunnel scuro o vi attendono come porte spalancate alla fine della
galleria, in un continuo passaggio dal buio alla luce, un po’ come accadeva
viaggiando in treno, quando questa era una ferrovia, ma con la lentezza del
pedale.
cui si affiancano quelli naturali
e urbani, ciascuno con la sua geometria.
La Ciclabile Levanto-Framura è anche un bel repertorio di ombre
che si allungano sull’asfalto e
vivono in un mondo parallelo e capovolto, non abitabile.
Quando
arriviamo a Bonassola, che è piena di biciclette, il sole proietta ombre a due
ruote ovunque, ferme e in movimento, di turisti ma soprattutto di gente del
luogo, che dal 2010, quando è stato inaugurato questo tratto di ciclabile, può
raggiungere Levanto senza percorrere la strada dei monti.
Penso che
tutto considerato è andata davvero bene, che quando qui passava il treno, su
quell’unico binario che era allora la linea Genova-Pisa, i viaggiatori non si
immaginassero il sopravvento delle biciclette e la possibilità di raggiungere,
pedalando, le calette nascoste lì sotto. Penso che una vecchia ferrovia che si
trasforma in pista ciclabile abbia una qualche parentela con quelle case
abbandonate in cui piano piano si insinuano gli alberi e la natura riprende i
suoi spazi. Non chiedetemi perché.
Resta il fatto che questo pensiero mi conforta e mi fa credere che esistano grandi possibilità di cambiamento, delle cose e delle persone, delle abitudini: oggi la conversione di un vecchio tratto di ferrovia in abbandono, domani la progettazione di ciclabili urbane ex novo, come di fatto sta accadendo.
Possiamo pedalare contenti.
«Quando torniamo ti compri un
paio di jeans come si deve. Ti accompagno»
«Cosa c’è che
non va nei miei pantaloni?»
«Guardati:
sono così larghi che li devi arrotolare!»
«È per non
sporcarli con la catena!»
«Se fossero a
forma di pantaloni non ti sporcheresti »
«Uffa…»
«Ti ci porto
io, eh?»
«Poi i jeans
sono tutti schiariti, sabbiati, sicuro hanno fatto venire la silicosi a
qualcuno…»
«Ma noi li
compriamo blu. Blu e stretti in fondo»
«No-ooo!»
«Hai dei
problemi con la tua femminilità…»
Silenzio,
galleria lunga.
E ti va bene che non ti abbia detto:
RispondiElimina"eh no, signoramia, così non va..."
Bella idea il viaggio raccontato per campioni...
Sono stata promossa dalla Zia?
Eliminache bello!!!
(stavo già per rovinare tutto con un emoticon!)
Meraviglia!
RispondiEliminaLe foto delle ombre poi sono spettacolari...
E comunque anche io "dico", se posso permettermi ;)
Giulietta sono Enrica :)
Ciao Enri!
RispondiEliminafelice che il nostro blog ti piaccia :-)
...quindi devo lavorare sulla larghezza dei miei pantaloni,per così dire? perché siete già in due a dirmelo,due di cui mi fido :-[
Brave! Piacevole lettura, foto splendide e poi ho imparato un sacco di cose di campanelli e cestini!!
RispondiEliminaM.